martedì 20 gennaio 2009

Punti di vista : Italia e Stati Uniti, "Il giornalista è sempre libero?", di Gino Falleri

Gino Falleri, Vice Presidente Ordine Giornalisti del Lazio
Presidente del Comitato dei Saggi Atlasorbis
La passata estate è stata caratterizzata da due eventi, che testimoniano le difficoltà in cui si dibatte il mondo dei giornali. Il primo è costituito da un articolo di Timothy Egan - pubblicato sul New York Times con il titolo Save the press - sulla crisi che si sta abbattendo sulla stampa americana.  E sintomatica, al riguardo, una inchiesta di Arturo Zampaglione, apparsa su Affari e Finanza di Repubblica. Approfondisce. Il secondo ci riguarda più da vicino. Il governo, facendo perno sull’uso disinvolto delle intercettazioni telefoniche, vuole attenuare il diritto di informare ed in sua difesa sono state organizzate dalla Federazione nazionale della stampa e dall’Unione nazionale cronisti alcune manifestazioni di protesta ed altre sono in programma nel prossimo futuro. 
Con le loro iniziative hanno voluto richiamare l’attenzione su quanto ha in animo l’attuale maggioranza parlamentare. Limitare il diritto di cronaca e di conseguenza il diritto di essere informati. Un duplice diritto messo in dubbio anche da alcune decisioni della magistratura inquirente. L’ultima è la perquisizione effettuata nella redazione de l’Espresso, che aveva pubblicato una inchiesta sulle discariche della Campania. Tutto questo lascia abbastanza perplessi e richiederebbe l’adozione di inequivocabili provvedimenti legislativi. Se non altro perché la Costituzione ha il suo valore. 

Il diritto di cronaca è senz’altro sacrosanto e più che condivisibile è l’azione della Fnsi. Tuttavia la migliore difesa è il rispetto delle regole, che gli stessi giornalisti si sono autonomamente dati. Omettere di farlo significa lasciare spazi a favore di chi, con lo scopo di tutelare la privacy dei cittadini e la segretezza delle indagini, vuole imbrigliare l’informazione. Metterle un bavaglio. La tutela di questo diritto dovrebbe essere compito degli stessi giornalisti. Loro sono i responsabili della corretta informazione e tale responsabilità non è subordinata agli interessi del governo, dell’editore e dei terzi. La regola vale sia per chi lavora nei giornali di informazione che in quelli di opinione. 
L’essenzialità dell’informazione, prevista dal Codice sul trattamento dei dati personali, dovrebbe essere una linea Piave. Non può essere superata. Andare al di là conferisce forza a quel movimento d’opinione politica che vuole che nessuna intercettazione possa andare sui giornali finché l’inchiesta non sia terminata. Gli ultimi esempi del non rispetto riguardano l’assistente di volo perito nell’incendio dell’aereo spagnolo all’aeroporto di Madrid e l’uccisione, per un regolamento di conti, di una persona legata con un personaggio. 
Quanto finora accennato non deve lasciare spazio a valutazioni non positive nei confronti del mondo dei giornali e dei giornalisti. Il loro dovere lo fanno, superando non poche difficoltà. Emblematiche le inchieste sul costo della politica in generale, sugli sprechi delle risorse regionali e locali, sulla malasanità, sulle consulenze, sulla casta dei sindacati, sui contributi all’editoria e sulle sedi regionali all’estero. Tanto che si potrebbe affermare, senza essere smentiti, che il modello di Hallin e Mancini per l’Italia sia quasi superato. Una stampa di elite e troppo vicina alla classe politica. Non sembra più essere così. 
L’informazione porta alla luce anche l’inefficienza e l’insensibilità della Pubblica amministrazione. Ha di recente riferito di una pensionata che si è vista recapitare un assegno mensile di due euro a causa di errori commessi dalla stessa PA. Lasciata senza il  minimo vitale e senza che la ”politica”, soprattutto quella di sinistra tanto sensibile ai bisogni della gente, abbia fatto una grinza. 
Questo da noi. Dall’altra parte dell’oceano, dove la libertà di stampa affonda le sue radici nella seconda metà del settecento, i giornalisti non fanno sconti a nessuno e non sono per niente riverenti. Nemmeno con il presidente degli Stati Uniti. Nulla deve essere omesso e guai a chi mente. Ora che Barack Obama, democratico, buona parte della stampa italiana è a suo favore, e McCain, repubblicano, puntano alla Casa Bianca mettono in piazza i loro lati negativi e positivi e dei loro familiari. 
Una ricerca puntigliosa, come peraltro i loro programmi sono soppesati riga dopo riga e nelle conferenze stampa c’è sempre qualche domanda imbarazzante. Non è stato delicato Jim Leher nei confronti di McCain nel primo duello televisivo. Lo ha messo in estrema difficoltà sull’economia. Di Sarah Palin, la vice del candidato repubblicano, si conosce tutto. A cominciare che è una provetta cacciatrice di alci, e qui gli ambientalisti potrebbero dire la loro, ma scarsa nelle interviste. Obama, a sua volta, non è esente da rilievi. Comunque chi entrerà nella sala ovale della Casa Bianca avrà dinnanzi a se più di un problema da risolvere. Soprattutto a livello internazionale. 
Il fallimento delle banche d’affari, e del colosso delle Assicurazioni, ha inferto un duro colpo alla solidità dell’economia americana. La stessa immagine dell’americano è in caduta libera e cresce sempre di più uno stato di insofferenza nei confronti dell’America. Si pensi al Venezuela Bolivia e Russia. Poi ci sono i conflitti in atto. L’Afghanistan e Iraq sono due polveriere. Risalire la china non sarà facile, anche perché chiunque dei due venga eletto, è la storia ad insegnarlo, penserà innanzitutto agli interessi degli Stati Uniti e poi a quelli degli altri. Esiste comunque una grande incognita ed è costituita dallo stesso Obama. L’elettorato americano è pronto ad inviare sullo scranno più alto di Washington? Colin Powell, nato nel Bronx da genitori giamaicani, è arrivato al vertice delle Forze Armate.