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Gino Falleri, Vice Presidente Ordine Giornalisti del Lazio Presidente del Comitato dei Saggi Atlasorbis |
La passata estate è stata caratterizzata da due eventi, che testimoniano
le difficoltà in cui si dibatte il mondo dei giornali. Il primo è costituito da
un articolo di Timothy Egan - pubblicato sul New York Times con il titolo Save the press - sulla crisi che si
sta abbattendo sulla stampa americana. E
sintomatica, al riguardo, una inchiesta di Arturo Zampaglione, apparsa su Affari e Finanza di Repubblica.
Approfondisce. Il secondo ci riguarda più da vicino. Il governo, facendo perno
sull’uso disinvolto delle intercettazioni telefoniche, vuole attenuare il
diritto di informare ed in sua difesa sono state organizzate dalla Federazione
nazionale della stampa e dall’Unione nazionale cronisti alcune manifestazioni
di protesta ed altre sono in programma nel prossimo futuro.
Con le loro iniziative hanno voluto richiamare l’attenzione su quanto
ha in animo l’attuale maggioranza parlamentare. Limitare il diritto di cronaca
e di conseguenza il diritto di essere informati. Un duplice diritto messo in
dubbio anche da alcune decisioni della magistratura inquirente. L’ultima è la
perquisizione effettuata nella redazione de l’Espresso,
che aveva pubblicato una inchiesta sulle discariche della Campania. Tutto
questo lascia abbastanza perplessi e richiederebbe l’adozione di inequivocabili
provvedimenti legislativi. Se non altro perché la Costituzione ha il suo
valore.
Il diritto di cronaca è senz’altro sacrosanto e più che condivisibile
è l’azione della Fnsi. Tuttavia la migliore difesa è il rispetto delle regole,
che gli stessi giornalisti si sono autonomamente dati. Omettere di farlo
significa lasciare spazi a favore di chi, con lo scopo di tutelare la privacy
dei cittadini e la segretezza delle indagini, vuole imbrigliare l’informazione.
Metterle un bavaglio. La tutela di questo diritto dovrebbe essere compito degli
stessi giornalisti. Loro sono i responsabili della corretta informazione e tale
responsabilità non è subordinata agli interessi del governo, dell’editore e dei
terzi. La regola vale sia per chi lavora nei giornali di informazione che in
quelli di opinione.
L’essenzialità dell’informazione, prevista dal Codice sul trattamento
dei dati personali, dovrebbe essere una linea Piave. Non può essere superata.
Andare al di là conferisce forza a quel movimento d’opinione politica che vuole
che nessuna intercettazione possa andare sui giornali finché l’inchiesta non
sia terminata. Gli ultimi esempi del non rispetto riguardano l’assistente di
volo perito nell’incendio dell’aereo spagnolo all’aeroporto di Madrid e
l’uccisione, per un regolamento di conti, di una persona legata con un
personaggio.
Quanto finora accennato non deve lasciare spazio a valutazioni non
positive nei confronti del mondo dei giornali e dei giornalisti. Il loro dovere
lo fanno, superando non poche difficoltà. Emblematiche le inchieste sul costo
della politica in generale, sugli sprechi delle risorse regionali e locali, sulla
malasanità, sulle consulenze, sulla casta dei sindacati, sui contributi
all’editoria e sulle sedi regionali all’estero. Tanto che si potrebbe affermare,
senza essere smentiti, che il modello di Hallin e Mancini per l’Italia sia
quasi superato. Una stampa di elite e troppo vicina alla classe politica. Non
sembra più essere così.
L’informazione porta alla luce anche l’inefficienza e l’insensibilità
della Pubblica amministrazione. Ha di recente riferito di una pensionata che si
è vista recapitare un assegno mensile di due euro a causa di errori commessi
dalla stessa PA. Lasciata senza il
minimo vitale e senza che la ”politica”, soprattutto quella di sinistra
tanto sensibile ai bisogni della gente, abbia fatto una grinza.
Questo da noi. Dall’altra parte dell’oceano, dove la libertà di stampa
affonda le sue radici nella seconda metà del settecento, i giornalisti non
fanno sconti a nessuno e non sono per niente riverenti. Nemmeno con il
presidente degli Stati Uniti. Nulla deve essere omesso e guai a chi mente. Ora
che Barack Obama, democratico, buona parte della stampa italiana è a suo favore,
e McCain, repubblicano, puntano alla Casa Bianca mettono in piazza i loro lati
negativi e positivi e dei loro familiari.
Una ricerca puntigliosa, come peraltro i loro programmi sono soppesati
riga dopo riga e nelle conferenze stampa c’è sempre qualche domanda
imbarazzante. Non è stato delicato Jim Leher nei confronti di McCain nel primo
duello televisivo. Lo ha messo in estrema difficoltà sull’economia. Di Sarah
Palin, la vice del candidato repubblicano, si conosce tutto. A cominciare che è
una provetta cacciatrice di alci, e qui gli ambientalisti potrebbero dire la
loro, ma scarsa nelle interviste. Obama, a sua volta, non è esente da rilievi.
Comunque chi entrerà nella sala ovale della Casa Bianca avrà dinnanzi a se più
di un problema da risolvere. Soprattutto a livello internazionale.
Il fallimento delle banche d’affari, e del colosso delle
Assicurazioni, ha inferto un duro colpo alla solidità dell’economia americana.
La stessa immagine dell’americano è in caduta libera e cresce sempre di più uno
stato di insofferenza nei confronti dell’America. Si pensi al Venezuela Bolivia
e Russia. Poi ci sono i conflitti in atto. L’Afghanistan e Iraq sono due
polveriere. Risalire la china non sarà facile, anche perché chiunque dei due
venga eletto, è la storia ad insegnarlo, penserà innanzitutto agli interessi
degli Stati Uniti e poi a quelli degli altri. Esiste comunque una grande
incognita ed è costituita dallo stesso Obama. L’elettorato americano è pronto
ad inviare sullo scranno più alto di Washington? Colin Powell, nato nel Bronx
da genitori giamaicani, è arrivato al vertice delle Forze Armate.